L’EUPHORIA DI ESSERE ADOLESCENTI

Lo scorso 26 settembre ha esordito sui canali Sky “Euphoria”, la nuova serie tv della HBO: colpita dal teaser/trailer promosso sui social dalla stessa Sky, (nel quale invitano tutti quegli adolescenti che vivono situazioni di disagio e/o dipendenze a chiedere aiuto a professionisti esperti in materia), ho deciso di vederla, e posso dire che ha rappresentato un’esperienza di visione davvero difficile da definire, che fa proprio del suo essere respingente e provocatoria una delle sue peculiarità.

Si, perché Euphoria ci porta in una realtà molto difficile da digerire: vi invito ad andare oltre le scene di sesso ed il facile consumo di droga e farmaci da parte dei protagonisti, e a soffermarvi sulla fragilità di una generazione costantemente sospesa tra connessione e isolamento. Anche se circondati da smartphone all’avanguardia, tablet e PC, e seppur esperti navigatori del web e del mondo social, questi giovani sono sempre soli, incapaci di gestire le relazioni e le emozioni più intense, apparentemente apatici e alla ricerca della felicità.

Le otto puntate di cui si compone la serie vedono come protagonista e narratrice delle vicende l’adolescente Rue, tornata a scuola dopo un’estate passata in comunità a disintossicarsi, dopo essere stata trovata in overdose dalla sorella minore. Nonostante l’apparente recupero, Rue continua ossessivamente a cercare di drogarsi, ma soprattutto di autodistruggersi, sopraffatta da un’ansia sociale e da un passato doloroso che la perseguita sin dall’infanzia. La sua vita prenderà una piega differente dopo l’incontro con Jules, una ragazza transgender da poco arrivata in città, e che a sua volta porta avanti un’interiore battaglia personale tra il giudizio della gente e l’attrazione verso uomini violenti e più grandi di lei.

Insieme a Rue e Jules, seguiranno le vicende di alcuni coetanei, ognuno col proprio grado di problematicità: il ritratto di una generazione che ne esce è più vicino alla realtà di quanto non possa sembrare.

Protettivamente, direi che è una serie sugli adolescenti, ma sicuramente pensata e destinata ad un pubblico adulto, data l’estrema crudezza delle scene a cui ci sottopone. Eppure, le difficoltà ed i traumi relazionali e familiari di cui si occupa, e delle conseguenze che hanno sulla vita di questi adolescenti, non sono poi così lontane da quelle che vivono i nostri ragazzi. Personalmente sono rimasta molto colpita dalla struttura narrativa di ogni puntata, in cui viene approfondita la condizione attuale dei protagonisti a partire dall’infanzia, portandomi a riflettere su quanto sia importante riconoscere ed affrontare la natura dei disagi che i nostri adolescenti sviluppano, e che a volte cercano di trovare una consolazione nelle dipendenze o nei comportamenti particolarmente trasgressivi. Come a dire: ‘è difficile connettersi con determinate emozioni, ed in mancanza di altre soluzioni, scelgo la strada dell’anestesia, dello stordimento, prendo una distanza proprio da quelle emozioni’.

Il comune denominatore è la profonda solitudine che questi ragazzi provano di fronte alle proprie sofferenze, e la mancanza di un contenitore adeguato che possa aiutarli a tollerarle. La ricerca di affetto e di amore è il motore che traina i loro agìti ,ed è il premio a cui, più o meno inconsapevolmente, ambiscono.

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