DI FERITE DA CURARE E DI DOLORI DI CUI SIAMO PORTATORI (IN)CONSAPEVOLI

Oh, ma perché incontro solo narcisisti patologici? “ – “Eh, ma quell* si gira così perché è bipolare!” – “Che ansia! Certo che sei proprio paranoic*!!” –  “Ma stai mangiando? Che vuoi diventare anoressic*???”

Negli ultimi tempi c’è un gran parlare di salute mentale, di devianze, di cosa è “patologico” e cosa non lo è. Affermazioni – etichette – come quelle riportate di sopra -al di là del motivo o dell’intenzione per cui vengono condivise – rischiano di farci perdere di vista chi abbiamo davanti, e di non considerare che dietro ognuno di noi c’è una complessità.

All’origine di ogni nostro comportamento, delle nostre emozioni, dei nostri atteggiamenti ci sono delle storie, alla base delle quali risiedono delle eredità emotive da rintracciare e da scoprire per capire gran parte (o quasi) delle nostre azioni, e che condizionano fortemente, nel bene e nel male, la nostra salute fisica e mentale.

Durante le mie settimane di pausa estiva, ho avuto il privilegio e l’onore di immergermi in questa lettura (L’eredità emotiva – Una terapeuta, i suoi pazienti e il retaggio del trauma – di Galit Atlas [2022], Raffaello Cortina Editore, Milano) che ha mi lasciato una ricchezza inestimabile: di storie, di parole, di esperienza, di professionalità, di coraggio, di speranza ma soprattutto di racconti di traumi enormi a cui è stato possibile attribuire un significato differente. Le mie riflessioni a riguardo sono numerose.

Innanzitutto Galit Atlas, psicoanalista supervisore newyorkese, ha saputo accogliere e raccogliere in modo esemplare i racconti straordinari di persone che, grazie al lavoro terapeutico, hanno imparato a prendersi cura dei propri sintomi e della propria storia, e a concedersi la speranza di potersi amare ed accettare per quello che si è, senza colpevolizzarsi ulteriormente di come non avessero già fatto. 

Per noi terapeuti sistemici, il discorso della trasmissione intergenerazionale dei traumi è qualcosa di già noto: ereditiamo, nella nostra mente e nel nostro corpo, ciò di cui siamo a conoscenza, ma soprattutto tutto ciò di cui non abbiamo consapevolezza. La novità contenuta in questo testo è relativa all’epigenetica: sono stati portati a termine degli studi in cui viene analizzato il modo in cui i geni delle generazioni successive a quelle che hanno vissuto un trauma si modificano e si trasmettono. Non più solo una deduzione psicoanalitica, ma una conferma neuroscientifica: i figli dei genitori che hanno vissuto o sono stati esposti a dei traumi hanno più probabilità di presentare sintomi riconducibili ad un disturbo post-traumatico da stress, se dovessero entrare in contatto con eventi traumatici. 

Le persone che amiamo e quelle che ci hanno cresciuto vivono dentro di noi; proviamo il loro dolore emotivo, sogniamo i loro ricordi, conosciamo anche ciò che non ci è stato esplicitamente comunicato, e tutto questo plasma la nostra vita in modi che non sempre comprendiamo. Ereditiamo i traumi familiari, anche quelli di cui nessuno ci ha parlato”, dice la Atlas.

E’ un po’ come dire che viviamo una vita non totalmente “nostra”: il modo di amare, di affrontare i dolori, di gestire i cambiamenti, di attraversare il passato per capire come vivere nel presente è inevitabilmente “contaminato” dai “fantasmi” delle generazioni precedenti. Ora: capisco che, detta così, sembra che siamo totalmente destinati ad una vita complicatissima e costantemente segnata dagli errori e dai traumi non elaborati di genitori, nonni, e bisnonni.

Ed è qui che arriva la libertà di scegliere. La libertà di poter decidere se essere i protagonisti attivi del nostro futuro o, al contrario, bloccarci nella nostra storia passata. “Per evolvere ed essere creativi è necessario separarsi e vivere il futuro, anziché cullarsi nel passato”, dice la Atlas. Questo, paradossalmente, è proprio uno dei motivi per cui è così difficile potersi prendere cura della propria storia e delle proprie ferite, consapevoli o meno: vuol dire rischiare di conoscere delle parti del proprio Sè che mai avremmo immaginato di incontrare ed integrarle con quelle che già conosciamo, risignificare parti di noi e della nostra storia familiare senza filtri che vadano a proteggere ciò che ci è sempre stato presentato in un modo, ed invece è tutt’altro.

Ci vuole coraggio, determinazione e tanta motivazione: affrontare questo tutto materiale emotivo richiede di venire a patti con la consapevolezza di accettare ciò che nelle generazioni precedenti è accaduto, un materiale che magari non è mai stato elaborato. E poi accade che, un giorno, qualcuno spezza la catena: ciò che è successo, ormai non è più possibile cambiarlo, questo è ovvio. Ma poter piangere i dolori e le perdite, essere compassionevoli e comprensivi verso i propri errori e quelli delle generazioni precedenti, vuol dire che scegliamo di aprirci ad un nuovo scenario, quello della vita.

Una vita che vale la pena di essere vissuta, nonostante tutto.

Dott.ssa Valeria GonzalezPsicologa psicoterapeuta

SUPEREROI: LA DANZA DELLA COPPIA ATTRAVERSO IL TEMPO

Alessandro Borghi e Jasmine Trinca in Supereroi, Paolo Genovese – 2021

“Anna avrebbe voluto morire, Marco voleva andarsene lontano: qualcuno li ha visti tornare, tenendosi per mano…” (Anna e Marco, Lucio Dalla)

Anna è una giovane, talentuosa e creativa fumettista, con un sogno nel cassetto: quello di creare un suo fumetto a tema supereroi, affidando la propria matita al suo alter ego, Drusilla. Niente fotografi morsi da ragni, nessun orfano che combatte i criminali per vendicare la propria famiglia: per Anna i veri supereroi sono le coppie, quelle formate da gente comune, che nonostante il tempo, gli ostacoli, gli imprevisti, i problemi, le incomprensioni, i dolori della vita, scelgono di rimanere insieme. Dalla sua creatività nascono delle rubriche – le strisce – (quasi sempre autobiografiche), a cui il suo capo darà fiducia e che, andando avanti con gli anni, prenderanno le sembianze di un vero e proprio fumetto con storie create ad hoc (ma pur sempre autobiografiche). Nella vita privata, invece, Anna evita di incastrarsi nelle relazioni sentimentali, sembra viverle con poca fiducia, instabilità ed incertezza. Finché casualmente, in un giorno di pioggia, incontra Marco, razionale professore universitario di fisica, che per quanto si sforzi di applicare regole e teoremi alla propria vita privata, finisce per essere travolto da un sentimento irrazionale ed intenso che li unirà e che verrà sviscerato lungo tutto la durata di questo lungometraggio, dal titolo, appunto, “Supereroi”. 

Perché vi parlo di questo film? Semplice: perché trovo che da una prospettiva prettamente psicologica illustri molto bene, grazie al gioco di flashback di cui si compone la pellicola, come i membri di una coppia si scelgano, quali bisogni portano, come si cambia nelle modalità di relazionarsi nel corso degli anni, come guardano se stessi, come si evolvono e come evolve, con loro, il legame, e come il legame stesso cambia a seconda degli eventi che accadono.

Il contesto, ma soprattutto il tempo (concetto maestro che sostiene la sceneggiatura) in cui si susseguono le varie fasi della formazione della coppia e dello sviluppo del legame, permettono di osservare come, nel tempo, appunto, la coppia danza lungo il trascorrere degli anni, rendendola protagonista di innumerevoli rinegoziazioni del cosiddetto “patto implicito o segreto“, rappresentato da tutti quei bisogni, quei valori, quelle aspettative, quelle speranze che non vengono esplicitamente condivisi, ma che ciascun partner ha sviluppato lungo il corso della sua storia personale e grazie ai modelli identificativi con le persone che si sono prese cura di lui o di lei. (Scabini, Cigoli, 2000).

Ma andiamo per gradi. Quando Anna e Marco si incontrano sono subito attratti l’uno dall’altra: l’attrazione è solo uno degli elementi costitutivi su cui si fonda il patto, e si basa sul portare i propri bisogni, paure, desideri e valori che vanno ad incastrarsi con quelle dell’altro partner, in un determinato arco temporale. Ma non solo: anche se non ne siamo spesso troppo consapevoli, un altro elemento fondamentale che rappresenta la base a partire dalla quale ci riferiamo per poter conoscere ed incontrare l’altro è la nostra famiglia “interna”, ovvero quell’insieme di modalità relazionali che abbiamo appreso a partire dai nostri modelli di riferimento familiari, e che poi “utilizziamo” quando ci mettiamo in relazione con il partner.

Le coppie, dunque, sviluppano un proprio sistema di credenze condiviso: ognuno porta nella relazione miti, valori, idee, aspettative, che poi vengono modellate, rinforzate o modificate reciprocamente nella relazione a due. Il contesto culturale e sociale delle famiglie di origine relativo ai ruoli, ai diritti e alle responsabilità di ciascun partner esercita un’influenza tanto potente da rappresentare le fondamenta del patto: la riuscita o il fallimento di tale legame dipenderà dal funzionamento o meno del patto stesso, che deve essere ‘sottoscritto’ da ogni coppia, in considerazione delle inevitabili somiglianze e differenze dei partner.

Ad esempio, senza voler rivelare troppo della trama, uno degli aspetti che colpisce di Anna e Marco (e che ci dice molto anche di loro come individui e della loro storia personale) è che non sia presente una solida rete familiare (e che forse rappresenta proprio un elemento di vicinanza per entrambi), ma piuttosto una discreta rete amicale su cui poter contare nei momenti di difficoltà che la coppia incontrerà nel corso degli anni. Nei momenti in cui il patto implicito viene messo in crisi, tutto ciò che Anna aveva visto in Marco (e viceversa), e che li aveva portati a scegliersi, tutti gli aspetti idealizzanti, si trasformano in una profonda delusione che li porta ad allontanarsi, per poi ri-scegliersi di nuovo per ciò che sono realmente. Ogni volta che Marco ed Anna vivono dei momenti di criticità vengono chiamati a ridefinire i propri ruoli e mansioni nei confronti della famiglia d’origine e con la rete estesa di amicizie, oltre che ristabilire di volta in volta i propri confini.

Il tempo, come già detto in precedenza, rappresenta un elemento chiave nella trama del film, ma nella realtà rappresenta un concetto che assai caratterizza il patto di coppia. L’arco temporale del film è rappresentato da un periodo di venti anni, durante i quali è davvero evidente il lavoro che Anna e Marco fanno per affidarsi e riaffidarsi l’uno all’altra durante i momenti di crisi, dimostrando che l’incontro avvenuto, quando c’è stato, ha permesso uno scambio di bisogni e di attese che non sempre risulta soddisfacente per tutta la durata della danza di coppia, e che a volte ci si trova davanti ad uno ‘sconosciuto’, e non alla persona che si è scelto. La coppia, così come l’individuo, è in continua evoluzione perché segue la dinamicità dei nostri cambiamenti, e non è scontato che un legame, costituitosi anni prima, possa fondarsi su un unico tipo di scambio.

Anna e Marco, così come tutte le coppie, ci mostrano che le situazioni di rigidità (di ruoli, di aspettative, di bisogni, ecc) non permettono un’evoluzione del patto, ma che al contrario, in una tale fissità, non può essere né rilanciato né riformulato. Come a dire: “Ci siamo scelti, ci siamo scambiati profondamente tanto, ci siamo aiutati, abbiamo risposto a determinate aspettative, ma adesso non basta più. C’è bisogno di impegnarsi e di dedicarci a riformulare un progetto di vita coerente con gli elementi che, ad oggi, servono per realizzarlo”. Affrontare questo passaggio è possibile, come è possibile poter ‘rinegoziare’ il patto tutte le volte in cui la coppia è protagonista di eventi critici come la nascita di un figlio, un lutto, una malattia, un cambio di lavoro, un trasferimento, e tutta quella serie di eventi che possono mettere in ‘crisi’ in primis la propria individualità nel corso del tempo.

Forse è per questo che, nel film, si parla delle coppie come supereroi: il loro potere sta nel trovare la chiave giusta per rimanere insieme e sconfiggere il loro acerrimo nemico, il tempo. Non sono completamente d’accordo: se c’è un aspetto che ho imparato proprio dal lavoro clinico con le coppie è che il trascorrere del tempo, e la maggior conoscenza di se stessi, possono offrire un’importante opportunità: la possibilità di incontrare l’altro in un modo più intimo ed autentico. E’ lì che avviene l’incontro, proprio come accade ad Anna e Marco quando tutte le corazze vengono giù, e si ritrovano l’uno “nudo” di fronte all’altra.

Dott.ssa Valeria Gonzalez – Psicologa Psicoterapeuta

BIBLIOGRAFIA

(a cura di) ANDOLFI M., (1999), La crisi della coppia – Una prospettiva sistemico relazionale, Raffaello Cortina Editore, Milano.

SCABINI E., CIGOLI V., (2000), Il famigliare – Legami, simboli e transizioni, Raffaello Cortina Editore, Milano.

DANZANDO CON LE RELAZIONI

La danza della vita, Edvard Munch, 1899, Galleria Nazionale di Oslo.
La danza dell’amore di una donna, attraverso le varie fasi del ciclo di vita.

” I rapporti si scelgono e subiscono, si costruiscono e distruggono

vari versatili e variabili, non sottometterli a una norma.

E pensare che alle volte sembra ci imprigionino,

e pensare che altre volte invece non ci bastano

uno che ci faccia ridere, un altro piangere,

come sempre, come ovunque, come noi.

Niccolò Fabi, Rapporti

Il mio interesse per le relazioni, per i rapporti, probabilmente nasce nel momento in cui sono venuta al mondo: sono sempre stata incuriosita ed affascinata dall’interazione con l’altro, dall’ascoltare altre storie diverse dalla mia, dello stare in contatto.

Dunque, come mai la scelta di pensare alle relazioni come uno spazio terapeutico e metaforico in cui poter danzare, assieme? La danza, se vista come un linguaggio accessibile a tutti, rappresenta uno strumento di inclusione sociale, e l’utilizzo che facciamo del nostro corpo, nel suo significato originario, si mostra come veicolo primario di cui disponiamo per relazionarci con il mondo. 

In psicoterapia avviene la stessa cosa: che sia un percorso individuale, di coppia o familiare, terapeuta e paziente decidono di mettersi in relazione attraverso il proprio corpo, e a seconda del tipo di percorso scelto. Potremmo trovarci davanti ad una coreografia in cui è il solo paziente ad esserne protagonista; oppure un passo a due, come nella terapia di coppia; o ancora, una coreografia di gruppo, nel caso di una terapia familiare. Il palcoscenico su cui ci si esibisce è rappresentato dallo spazio terapeutico che il singolo, la coppia o la famiglia co-costruisce assieme al proprio terapeuta.

Il movimento è un aspetto fondamentale della relazione terapeutica, che porta con sè l’obiettivo della possibilità di scelta per il soggetto in terapia. E’ un processo di continua trasformazione, all’interno del quale avvengono numerosi scambi di significati. Ecco perchè, quando parliamo di relazione tra due o più individui, la si può paragonare ad una danza in cui si è in funzione reciproca: nello specifico della relazione terapeutica, il paziente è in funzione del terapeuta, e viceversa.

Il cambiamento e la crescita, dunque, non avvengono perché è il terapeuta a sollecitarlo, ma perché si viene a creare una relazione in cui il singolo, la coppia o le famiglie si sollecitano a vicenda, all’interno di una propria sinfonia, con l’obiettivo di trovare un proprio ritmo ed un proprio tempo, esattamente come nella danza.

Questo blog nasce dal desiderio di poter condividere, con chi lo visiterà, numerosi aspetti della mia professione di psicologa e psicoterapeuta, e degli interessi che gravitano attorno a queste discipline, a me molto care.

Buona navigazione!

Dott.ssa Valeria Gonzalez